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La civetta (Athene noctua)
Classe: uccelli
Ordine: strigiformi
Famiglia: strigidi
Descrizione: La civetta è un piccolo rapace notturno, diffuso in Europa, in Africa e in Asia, dalla testa grossa e del piumaggio bruniccio macchiettato di bianco. Gli occhi sono scarsamente movibili ma le civette compensano questa imperfezione con l'estrema mobilità del capo che può ruotare completamente.
Abitudini: Sebbene le civette svolgano le loro attività di caccia, soprattutto ai piccoli roditori, durante le ore notturne si possono osservare anche durane il giorno solitamente in prossimità del loro nido che à talvolta collocato nel cavo di un albero o solitamente nelle fessure di muri o casolari diroccati.
Habitat: Questi rapaci non sembrano temere l'uomo, spesso, infatti, si insediano in prossimità di fattorie e case coloniche dove la loro opera di distruttori nocivi riesce particolarmente utile.
Varie: viene impiegata nella caccia a svariate specie di passeracei, che attira con i suoi movimenti.
Cultura popolare:
Patroni: San Francesco d'Assisi, San Biagio di Sebaste e San Gallo di Bregenz.
La figura della civetta si confonde spesso con quella del gufo per cui il simbolismo è lo stesso.
È un uccello sacro e magico e la sua figura, rappresentata da una dea-gufo, è presente nell'arte del periodo La Tène. Ha molti nomi tra cui Bodach oidche (fantasma della notte) o cailleach bhan (vecchia donna bianca).
Il gufo/civetta essendo un simbolo legato al passaggio della morte viene anche chiamato Occhio della Dea. È anche il simbolo della saggezza e delle conoscenze antiche.
Questo rapace notturno è ingiustamente ritenuto portatore di sventure, di lutti e rovine per il lugubre verso. Secondo tradizione, vedere una civetta o sentirne il canto porta sfortuna ed è presagio di morte. Più in dettaglio, alcuni credono che indichi morte quando il suo canto fa cuc-cuc e una nascita quando fa ciu-ciu. A Modena, per scaramanzia, quando ne avvertono la presenza dicono Tàs zvátta (taci civetta), imperativo esteso anche a iettatori e malelingue. Altri ancora sostengono che porti disgrazia solo alla casa verso la quale volgelo sguardo, e fortuna agli occupanti di quella sulla quale è posata.
Di sicuro, bisogna evitare d'incontrarla nella notte che precede l'Epifania. Secondo un'antica credenza, ricordata anche dal proverbio La nota dla Pasqueta e scor e' ciù e la zveta (La notte della Pasquetta parlano il chiù e la civetta), si crede che in questa magica notte gli animali acquistino la parola e abbiano il potere di maledire gli umani che osano origliare i loro discorsi.
Il motivo di questa diffidenza verso la civetta deriva probabilmente dal suo aspetto: l'atteggiamento severo, unito alle abitudini notturne e al canto lugubre e malinconico, hanno acceso la fantasia popolare, portando alla creazione di leggende e ispirando tali superstizioni. Quando la civetta batte contro il vetro della finestra, è segno che presto una disgrazia colpirà quella casa.
In alcuni luoghi, specialmente montani, per tenere lontano il malocchio si usava inchiodare questo rapace notturno alla porta della stalla o di casa. Fer la zvètta (Fare la civetta), o il zvitoù (civettone), equivale ad assumere un atteggiamento seducente, ammiccante verso l'altro sesso. Ciò deriva dal comportamento delle civette, che durante gli amori emettono continui gridolini e suoni lamentosi, in grado di attirare anche uccelli di altre specie.
Grazie a queste abitudini "civettuole", alla civetta femmina sono attribuiti amori e improbabili mariti. In Romagna dicono che La zveta di marì l'ha n'ha du: l'aloche e' ciù (La civetta dei mariti ne ha due: l'allocco e il chiù), anche se, poi, pare non si conceda a tutti: È cènta nenca e' barbagièn, mo la zveta la ne vora mèn (Canta anche il barbagianni, ma la civetta non lo vuole tra le mani).
Sul presunto amore tra la civetta e il chiù (l'assiolo), in Romagna c'è chi giura di aver sentito le loro parole, spiandoli nell'unico momento dell'anno nel quale si scambiano frasi d'amore, cioè durante la Pasquetta.
Il marito: Me e te a sem du: te la zveta e me e' ciù (Io e te siamo due: tu la civetta e io il chiù), al quale la moglie risponde: Me e te a sem propi du: me la zveta e te e' ciù (Io e te siamo proprio due: io la civetta e tu il chiù).
Il termine civetta, in senso figurato, può per questo indicare anche una donna di facili costumi, che suole star fuori di notte a divertirsi.
Nel Bolognese gli Uc' ed zvètta (Occhi di civetta) era il nome volgare attribuito alle monete d'oro, mentre in altri luoghi il termine veniva esteso al due di denari delle carte da briscola.
Per concludere, un cenno sull'origine del nome di quest'uccello, che in latino è Athene. Esso deriva da Atena, dea greca della saggezza, la quale aveva come simbolo la civetta, animale che i greci associavano alla chiarezza della sapienza. La dea diede poi anche il nome alla capitale greca, luogo dove le civette erano talmente diffuse che ancor oggi, per indicare un'azione stupida ed inutile, di dice Portare civette ad Atene.
Ordine: strigiformi
Famiglia: strigidi
Descrizione: La civetta è un piccolo rapace notturno, diffuso in Europa, in Africa e in Asia, dalla testa grossa e del piumaggio bruniccio macchiettato di bianco. Gli occhi sono scarsamente movibili ma le civette compensano questa imperfezione con l'estrema mobilità del capo che può ruotare completamente.
Abitudini: Sebbene le civette svolgano le loro attività di caccia, soprattutto ai piccoli roditori, durante le ore notturne si possono osservare anche durane il giorno solitamente in prossimità del loro nido che à talvolta collocato nel cavo di un albero o solitamente nelle fessure di muri o casolari diroccati.
Habitat: Questi rapaci non sembrano temere l'uomo, spesso, infatti, si insediano in prossimità di fattorie e case coloniche dove la loro opera di distruttori nocivi riesce particolarmente utile.
Varie: viene impiegata nella caccia a svariate specie di passeracei, che attira con i suoi movimenti.
Cultura popolare:
Patroni: San Francesco d'Assisi, San Biagio di Sebaste e San Gallo di Bregenz.
La figura della civetta si confonde spesso con quella del gufo per cui il simbolismo è lo stesso.
È un uccello sacro e magico e la sua figura, rappresentata da una dea-gufo, è presente nell'arte del periodo La Tène. Ha molti nomi tra cui Bodach oidche (fantasma della notte) o cailleach bhan (vecchia donna bianca).
Il gufo/civetta essendo un simbolo legato al passaggio della morte viene anche chiamato Occhio della Dea. È anche il simbolo della saggezza e delle conoscenze antiche.
Questo rapace notturno è ingiustamente ritenuto portatore di sventure, di lutti e rovine per il lugubre verso. Secondo tradizione, vedere una civetta o sentirne il canto porta sfortuna ed è presagio di morte. Più in dettaglio, alcuni credono che indichi morte quando il suo canto fa cuc-cuc e una nascita quando fa ciu-ciu. A Modena, per scaramanzia, quando ne avvertono la presenza dicono Tàs zvátta (taci civetta), imperativo esteso anche a iettatori e malelingue. Altri ancora sostengono che porti disgrazia solo alla casa verso la quale volgelo sguardo, e fortuna agli occupanti di quella sulla quale è posata.
Di sicuro, bisogna evitare d'incontrarla nella notte che precede l'Epifania. Secondo un'antica credenza, ricordata anche dal proverbio La nota dla Pasqueta e scor e' ciù e la zveta (La notte della Pasquetta parlano il chiù e la civetta), si crede che in questa magica notte gli animali acquistino la parola e abbiano il potere di maledire gli umani che osano origliare i loro discorsi.
Il motivo di questa diffidenza verso la civetta deriva probabilmente dal suo aspetto: l'atteggiamento severo, unito alle abitudini notturne e al canto lugubre e malinconico, hanno acceso la fantasia popolare, portando alla creazione di leggende e ispirando tali superstizioni. Quando la civetta batte contro il vetro della finestra, è segno che presto una disgrazia colpirà quella casa.
In alcuni luoghi, specialmente montani, per tenere lontano il malocchio si usava inchiodare questo rapace notturno alla porta della stalla o di casa. Fer la zvètta (Fare la civetta), o il zvitoù (civettone), equivale ad assumere un atteggiamento seducente, ammiccante verso l'altro sesso. Ciò deriva dal comportamento delle civette, che durante gli amori emettono continui gridolini e suoni lamentosi, in grado di attirare anche uccelli di altre specie.
Grazie a queste abitudini "civettuole", alla civetta femmina sono attribuiti amori e improbabili mariti. In Romagna dicono che La zveta di marì l'ha n'ha du: l'aloche e' ciù (La civetta dei mariti ne ha due: l'allocco e il chiù), anche se, poi, pare non si conceda a tutti: È cènta nenca e' barbagièn, mo la zveta la ne vora mèn (Canta anche il barbagianni, ma la civetta non lo vuole tra le mani).
Sul presunto amore tra la civetta e il chiù (l'assiolo), in Romagna c'è chi giura di aver sentito le loro parole, spiandoli nell'unico momento dell'anno nel quale si scambiano frasi d'amore, cioè durante la Pasquetta.
Il marito: Me e te a sem du: te la zveta e me e' ciù (Io e te siamo due: tu la civetta e io il chiù), al quale la moglie risponde: Me e te a sem propi du: me la zveta e te e' ciù (Io e te siamo proprio due: io la civetta e tu il chiù).
Il termine civetta, in senso figurato, può per questo indicare anche una donna di facili costumi, che suole star fuori di notte a divertirsi.
Nel Bolognese gli Uc' ed zvètta (Occhi di civetta) era il nome volgare attribuito alle monete d'oro, mentre in altri luoghi il termine veniva esteso al due di denari delle carte da briscola.
Per concludere, un cenno sull'origine del nome di quest'uccello, che in latino è Athene. Esso deriva da Atena, dea greca della saggezza, la quale aveva come simbolo la civetta, animale che i greci associavano alla chiarezza della sapienza. La dea diede poi anche il nome alla capitale greca, luogo dove le civette erano talmente diffuse che ancor oggi, per indicare un'azione stupida ed inutile, di dice Portare civette ad Atene.