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La leggenda del lago di Vagli
L'antico paese di Fabbriche di Careggine oggi riposa in fondo al lago
di Vagli; poche case ricoperte di fango rannicchiate intorno ad una
chiesa col suo campanile. Oggi lo abitano i pesci, ma in passato era
un borgo industrioso di artigiani e mercanti. Lo attraversava l'antica
Via Vandelli, che collegava il versante della Garfagnana con quello
della Versilia, e sul ponte di pietra del fiume Edron, spesso si
riposavano i messi postali, prima di affrontare le faticose salite
che si snodano lungo i fianchi marmorei del monte Tambura.
A quei tempi i paesi avevano una voce: le campane. Erano la voce di tutti; esprimevano la gioia, la festa, il pericolo, il dovere, il dolore e l'ultimo saluto a qualcuno degli amici che se ne andava. E pensare che servizio rendevano ai nostri padri! Due belle campane di bronzo informavano la gente, notte e giorno, di quello che era successo o stava per accadere. Quando suonavano a disperso, gli uomini uscivano dalle loro case con la lanterna a cercare chi si fosse perso nella bufera di neve o nella selva buia; quando suonavano a fuoco, uomini, donne e anziani uscivano di casa col secchiello e andavano di corsa, presso la fonte, a spegnere il rogo. Talvolta, quando le nevicate erano abbondanti e impedivano di camminare per le strade del paese, le campane suonavano per invitare gli uomini con le loro pale a pulire le vie. Anche quando si faceva buio sulla cima della Tambura, e si capiva che una bufera e una grandinata, di li a poco, avrebbero fatto il diavolo a quattro, si suonavano le campane per potere magicamente trasformare i chicchi di grandine, dannosi per il raccolto, in minuscole gocce d'acqua e, per impedire che la grandine rovinasse i raccolti, si metteva fuori il Santo Crocifisso in modo che, appena si fosse bagnato, potesse smettere di piovere. Infine le campane suonavano per le giornate obbligatorie, quando per tre giorni in un anno, ogni uomo doveva lavorare, senza nessun compenso per la comunità, rimettendo a posto i selciati, facendo lavori di manutenzioni a edifici o alla chiesa.
Teodora, una donna molto bella e malvagia, abitava col marito Anselmo, più anziano di lei, in una casa ai margini dell'antico borgo di Fabbriche, oggi sommerso. La donna era guardata con sospetto, perché aveva l'abitudine di rimanere fuori dopo il tramonto del sole, camminare da sola per le selve, e c'era anche qualcuno che l'aveva vista compiere strane faccende nella sua cantina interrata. Tutti pensavano che la donna fossa una strega e quando la vedevano passare davanti alle loro case, in molti si facevano il segno della croce e castagna.
Un pomeriggio Anselmo uscì a fare legna nel bosco. Era il 13 dicembre e la notte scese rapidamente cancellando ogni cosa. Dalla Tambura e dal Sumbra rotolò giù un vento freddo che trascinò con se miriadi di folletti e di elfi che sparsero il ghiaccio su alberi, strade, sassi, ruscelli e case. Anselmo affrettandosi verso casa, col suo carico di legna, scivolò lungo il sentiero e non riuscì a rialzarsi. Nessuno lo soccorse e morì assiderato.
Teodora non si era preoccupata del ritardo del marito, non aveva avvertito il campanaro, e il campanile era rimasto silenzioso nella notte gelida. Approfittando dell'assenza del marito, aveva passato tutta la notte intorno alle sue losche faccende. Ma il giorno dopo, verso mezzogiorno, si decise a dare il povero Anselmo per disperso, dicendo che era partito da casa di primo mattino per andare a fare legna nel bosco e non era ancora tornato. Si finse preoccupata e disperata e si raccomandò che subito qualcuno andasse a cercarlo. Le campane suonarono a disperso e un gruppo di uomini si sparpagliarono per i boschi intorno al paese. Lo trovarono steso accanto alla fonte nel bosco, adagiato sul suo carico di legna con una gamba rotta. Gli uomini capirono che l'uomo era morto nella sera precedente e sospettarono che la moglie non avesse intenzionalmente dato l'allarme. Nessuno poté incolparla, ma piano piano, col tempo, Teodora fu scansata sempre di più dalla gente del paese. La donna trascorreva da sola le sue giornate e finì per non uscire più dalla sua piccola casa che aveva due ciglieri (Cigliere: la stanza dove il contadino si toglieva gli scarponi sporchi di fango e riponeva i suoi strumenti, prima di entrare in casa), ovvero due cantine interrate, dove Teodora passava il suo tempo, ormai dimenticata dalla gente.
Intanto nel paese di Fabbriche stavano iniziando i lavori per chiudere la valle del torrente Edron, oscura e impenetrabile, e nei pressi del borgo, si sarebbe costruita una grande diga che, sbarrando le acque impetuose del torrente, avrebbe dato vita ad un nuovo lago artificiale. In paese c'era un gran parlare che in breve tempo si sarebbero dovute abbandonare le case e andare a vivere altrove. C'era incredulità e tristezza in paese; le campane non suonavano quasi più. La gente si preparava ad andare via e alla meglio si arrangiava a trasportare mobili e altri beni da parenti o in altre case. Teodora era stata informata che la sua casa sarebbe presto stata invasa dalle acque, ma lei non ci voleva credere. Nessuno l'avrebbe costretta ad uscire di casa; pensava che la gente volesse soltanto spaventarla e prendersi gioco di lei. Così un giorno l'acqua arrivò davvero e si inoltrò ovunque. Teodora cercò di fuggire dalla cantina interrata, ma non le fu possibile. Rimase prigioniera delle acque e del fango. Tutti dissero che quella fu la sua giusta condanna.
Tanti anni dopo quel giorno, quando fu svuotato il lago per la prima volta, alcuni uomini andarono a cercare il cadavere della povera Teodora. Scavarono nel fango, ma non riuscirono a trovare nemmeno un osso della donna e nessuno dei magici oggetti che le appartenevano. Qualcuno fra loro pensò che di fatto, la donna fosse, in qualche modo, riuscita a fuggire. Il fatto rimane un mistero; eppure c'à chi ha sentito, nelle notti del tredici di ogni mese, le campane suonare a disperso. Si dice che sia il fantasma di Teodora, costretto dal diavolo, a suonare fino all'alba per scontare i suoi peccati e, in particolare, per quello di non averle suonate la notte che il suo povero marito morì nel bosco.
A quei tempi i paesi avevano una voce: le campane. Erano la voce di tutti; esprimevano la gioia, la festa, il pericolo, il dovere, il dolore e l'ultimo saluto a qualcuno degli amici che se ne andava. E pensare che servizio rendevano ai nostri padri! Due belle campane di bronzo informavano la gente, notte e giorno, di quello che era successo o stava per accadere. Quando suonavano a disperso, gli uomini uscivano dalle loro case con la lanterna a cercare chi si fosse perso nella bufera di neve o nella selva buia; quando suonavano a fuoco, uomini, donne e anziani uscivano di casa col secchiello e andavano di corsa, presso la fonte, a spegnere il rogo. Talvolta, quando le nevicate erano abbondanti e impedivano di camminare per le strade del paese, le campane suonavano per invitare gli uomini con le loro pale a pulire le vie. Anche quando si faceva buio sulla cima della Tambura, e si capiva che una bufera e una grandinata, di li a poco, avrebbero fatto il diavolo a quattro, si suonavano le campane per potere magicamente trasformare i chicchi di grandine, dannosi per il raccolto, in minuscole gocce d'acqua e, per impedire che la grandine rovinasse i raccolti, si metteva fuori il Santo Crocifisso in modo che, appena si fosse bagnato, potesse smettere di piovere. Infine le campane suonavano per le giornate obbligatorie, quando per tre giorni in un anno, ogni uomo doveva lavorare, senza nessun compenso per la comunità, rimettendo a posto i selciati, facendo lavori di manutenzioni a edifici o alla chiesa.
Teodora, una donna molto bella e malvagia, abitava col marito Anselmo, più anziano di lei, in una casa ai margini dell'antico borgo di Fabbriche, oggi sommerso. La donna era guardata con sospetto, perché aveva l'abitudine di rimanere fuori dopo il tramonto del sole, camminare da sola per le selve, e c'era anche qualcuno che l'aveva vista compiere strane faccende nella sua cantina interrata. Tutti pensavano che la donna fossa una strega e quando la vedevano passare davanti alle loro case, in molti si facevano il segno della croce e castagna.
Un pomeriggio Anselmo uscì a fare legna nel bosco. Era il 13 dicembre e la notte scese rapidamente cancellando ogni cosa. Dalla Tambura e dal Sumbra rotolò giù un vento freddo che trascinò con se miriadi di folletti e di elfi che sparsero il ghiaccio su alberi, strade, sassi, ruscelli e case. Anselmo affrettandosi verso casa, col suo carico di legna, scivolò lungo il sentiero e non riuscì a rialzarsi. Nessuno lo soccorse e morì assiderato.
Teodora non si era preoccupata del ritardo del marito, non aveva avvertito il campanaro, e il campanile era rimasto silenzioso nella notte gelida. Approfittando dell'assenza del marito, aveva passato tutta la notte intorno alle sue losche faccende. Ma il giorno dopo, verso mezzogiorno, si decise a dare il povero Anselmo per disperso, dicendo che era partito da casa di primo mattino per andare a fare legna nel bosco e non era ancora tornato. Si finse preoccupata e disperata e si raccomandò che subito qualcuno andasse a cercarlo. Le campane suonarono a disperso e un gruppo di uomini si sparpagliarono per i boschi intorno al paese. Lo trovarono steso accanto alla fonte nel bosco, adagiato sul suo carico di legna con una gamba rotta. Gli uomini capirono che l'uomo era morto nella sera precedente e sospettarono che la moglie non avesse intenzionalmente dato l'allarme. Nessuno poté incolparla, ma piano piano, col tempo, Teodora fu scansata sempre di più dalla gente del paese. La donna trascorreva da sola le sue giornate e finì per non uscire più dalla sua piccola casa che aveva due ciglieri (Cigliere: la stanza dove il contadino si toglieva gli scarponi sporchi di fango e riponeva i suoi strumenti, prima di entrare in casa), ovvero due cantine interrate, dove Teodora passava il suo tempo, ormai dimenticata dalla gente.
Intanto nel paese di Fabbriche stavano iniziando i lavori per chiudere la valle del torrente Edron, oscura e impenetrabile, e nei pressi del borgo, si sarebbe costruita una grande diga che, sbarrando le acque impetuose del torrente, avrebbe dato vita ad un nuovo lago artificiale. In paese c'era un gran parlare che in breve tempo si sarebbero dovute abbandonare le case e andare a vivere altrove. C'era incredulità e tristezza in paese; le campane non suonavano quasi più. La gente si preparava ad andare via e alla meglio si arrangiava a trasportare mobili e altri beni da parenti o in altre case. Teodora era stata informata che la sua casa sarebbe presto stata invasa dalle acque, ma lei non ci voleva credere. Nessuno l'avrebbe costretta ad uscire di casa; pensava che la gente volesse soltanto spaventarla e prendersi gioco di lei. Così un giorno l'acqua arrivò davvero e si inoltrò ovunque. Teodora cercò di fuggire dalla cantina interrata, ma non le fu possibile. Rimase prigioniera delle acque e del fango. Tutti dissero che quella fu la sua giusta condanna.
Tanti anni dopo quel giorno, quando fu svuotato il lago per la prima volta, alcuni uomini andarono a cercare il cadavere della povera Teodora. Scavarono nel fango, ma non riuscirono a trovare nemmeno un osso della donna e nessuno dei magici oggetti che le appartenevano. Qualcuno fra loro pensò che di fatto, la donna fosse, in qualche modo, riuscita a fuggire. Il fatto rimane un mistero; eppure c'à chi ha sentito, nelle notti del tredici di ogni mese, le campane suonare a disperso. Si dice che sia il fantasma di Teodora, costretto dal diavolo, a suonare fino all'alba per scontare i suoi peccati e, in particolare, per quello di non averle suonate la notte che il suo povero marito morì nel bosco.